Nella città di Ninfea il governatore Arbate accoglie uno dei due figli di Mitridate, Sifare. Questi è irritato dalla presenza in città di suo fratello Farnace, suo avversario politico e rivale per l’amore di Aspasia, già promessa sposa di Mitridate. Arbate si dichiara fedele a Sifare, che viene intanto raggiunto da Aspasia. La ragazza lo prega di proteggerla da Farnace. Il principe le risponde dichiarandole il suo amore, ma si dice pronto anche a rinunciarvi se sarà necessario. Nel tempio di Venere, Farnace tenta di sedurre Aspasia, ma accorre prontamente il fratello. A sventare l’imminente duello giunge Arbate con la notizia del ritorno di Mitridate dalla guerra. L’evento getta tutti nello scompiglio: solo Farnace mantiene la calma e decide di affidare al nemico esercito romano le sue fortune, nella persona del tribuno Marzio. Mitridate, tornato sconfitto in patria, offre la principessa Ismene in sposa a Farnace, del cui tradimento viene informato da Arbate. Il figlio fedifrago va dunque punito.
Ismene, rifiutata da Farnace, decide di vendicarsi. Mitridate le propone come marito Sifare, mentre interpreta la titubanza di Aspasia a sposarlo come segno di infedeltà. Sifare e Aspasia si confessano reciproco amore. All’accampamento militare, Farnace, arrestato come traditore, accusa il fratello di amare Aspasia. Mitridate tende allora un tranello alla donna, che viene portata a confessare il suo segreto amore. Di fronte ai propositi di vendetta del re, i due amanti si dichiarano pronti ad affrontare la morte.
Mitridate, ancora furibondo, viene affrontato dalle due infelici donne che cercano invano di riportarlo alla ragione. Mentre una flotta romana vincitrice è già approdata al porto, Aspasia decide di ottenere con la morte la pace sperata: liberato da Ismene, Sifare fa appena in tempo a sottrarle la tazza con il veleno e offre al padre di combattere al suo fianco per riscattarsi con una morte gloriosa. Mitridate, ferito gravemente nel combattimento, decide di togliersi la vita. Prima di morire affida Aspasia a Sifare, perdonandoli entrambi; quindi abbraccia anche Farnace, che nel frattempo ha dimostrato la sua rinnovata fedeltà alla patria appiccando il fuoco alla flotta nemica e rinunciando così anche al trono promessogli dai Romani. Un coro inneggiante alla libertà conclude l’opera.